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14-09-2019

LA VETRINA DI MILANO PROPONE UN QUARTIERE IN SALDO: IL MARKETING URBANO

di Leoncavallo SPA

Di Spazio GaliLeo. Leoncavallo SPA

LA VETRINA DI MILANO PROPONE UN QUARTIERE IN SALDO: IL MARKETING URBANO

[Milano] è il luogo per eccellenza

dove la “classe creativa” si è giocata le sue carte

e oggi è la classe più umiliata da una ricchezza parassita

e incapace di inventare un futuro.

[Contro l'urbanistica, La Cecla, Ed. Enaudi, 2015]

LA VETRINA DI MILANO PROPONE UN QUARTIERE IN SALDO: IL MARKETING URBANO.

Tra tutti i quartieri di Milano gentrificati (o in via di gentrificazione) – Navigli, Lambrate, Isola, Bovisa ne sono un esempio – “Nolo” si distingue per un'importante e grave novità: una vera e propria strategia di marketing che ha accelerato il fenomeno di gentrificazione e la conseguente impennata, ovviamente favorevole, del capitalismo urbano e immobiliare.

Una provocazione.

Ebbene sì, i manifesti apparsi i primi di settembre per le strade di “Nolo” sono opera nostra. Una provocazione ben riuscita dal momento in cui è nata una lunghissima discussione (ovviamente tramite social network), da cui sono emersi alcuni punti salienti: che riguardo le conseguenze della gentrificazione il quartiere si trova spaccato; che i cosiddetti “Nolers” si sono offesi più per il poveri, che per la stupidità; che si tende più a dimostrare gli effetti (la discussione ha portato a foto di/ed annunci immobiliari) invece di riflettere sulle cause; che è presente una vera e propria crisi per necessità di appartenenza all'immagine sia di “Nolo” sia a quella di Milano.

La nostra provocazione ha volutamente colpito, non solo il quartiere di “Nolo”, ma anche alcuni dei suoi “estetizzatori”: abbiamo appositamente crossato gli omini rosa e le fotografie sui cestini dell'Amsa con manifesti (in font) stilisticamente identitari dell'immagine di “Nolo”.

Ora vorremmo portare a riflettere sulle strategie di marketing e sul perché il fenomeno “Nolo” ci preoccupa e come mai disapproviamo quest'immagine irreale di Milano.

Abitare: Milano e un suo quartiere che stava già cambiando EXPO 2015 ha sancito il totale cambiamento di Milano: la città si è auto-rappresentata come la città della moda, del design, del cibo e dell'architettura; come una città accogliente e vivace, in quanto ricca di eventi, ricca di arte, ricca. Una metropoli, la città cosmopolita, la più “europea” tra tutte le città d'Italia: una terra promessa per chi vuole studiare, fare carriera oppure spiccare tra la folla della creatività italiana, essendo Milano “rampa di lancio” in Europa.

Milano, auto-rappresentandosi al mondo, ha costruito una sua immagine, ovviamente ottimistica, rendendosi competitiva e accattivante. Ma l'immagine di una città ha sempre due facce: una esterna, retorica e orientata a persuadere, ed una interna, più realistica e rivolta a stimolare la riflessione, la collaborazione e il consenso degli attori locali. Con l'esperimento “Nolo” sembra che chi è stato attratto dall'immagine esterna, è rimasto deluso da quella reale e ne abbia sovrapposto facce: “Nolo”, o meglio Pasteur e via Padova, esistevano da sempre, radicati nella città.

La zona di Pasteur era una zona residenziale, principalmente di ferrovieri, comoda per gli spostamenti ed economica. Con il cambiamento della città operaia in città di servizi, quindi con la precarizzazione del lavoro e con una maggiore richiesta di lavoratori a bassa retribuzione, Milano è stata soggetto di una forte immigrazione: prima dal sud Italia e poi dal resto del mondo. Infatti, col tempo, la zona è diventata multi etnica e popolare, e come tale soggetta all'abbandono da parte delle istituzioni e presa in mano dalla criminalità.

Con l'aumento del senso di insicurezza le famiglie hanno abbandonato il quartiere trasferendosi in zone sentite più “sicure”, e chi non poteva aspettare anni per vendere la propria casa ha preferito affittarla a basso costo alla nuova domanda: studenti e giovani, per lo più creativi, attratti dalla “nuova” Milano. Attraverso lo stabilirsi di questi, il quartiere stava già cambiando, poiché sono cambiati i suoi abitanti; il parco e i bar in piazza incominciavano già a ospitare una “movida” serale della zona. Il quartiere stava diventando più vivo e rispondeva alle necessità dei nuovi abitanti: prezzi popolari, vicinanza e praticità dei mezzi pubblici, bar, piazze e parchi.

Eppure qualcosa non bastava. Dove sono le istituzioni? Chi sono i milanesi? Dove sta a Pasteur la “Milano promessa”?

Il nome è l'identità: la strategia numero 1.

E le istituzioni hanno risposto all'incapacità dei nuovi abitanti di capire dove si trovavano: sono arrivati attratti dall'immagine esterna, il brand, di Milano, diamoli un marchio, diamoli un nuovo e accattivante nome, un po' come a New York: NOLO – North of Loreto.

Il cambio di nome di un quartiere, luogo pubblico, con una sua storia e un suo tessuto sociale, è un'azione violenta che ha portato solo alla sua “brandizzazione” e con questa l'avvio di strategie di marketing a favore solo e soltanto del capitalismo urbano.

Non si chiamava più Pasteur (perché a Milano funziona soprattutto così: si prende come punto di riferimento un luogo storico, una via principale, una grande opera oppure la fermata della metropolitana) ma Nolo, una sigla senza storia.

Ci chiediamo qual era il bisogno di un cambio di nome; com'è possibile che i nuovi abitanti “esperti in comunicazione” non siano riusciti a comunicare con il quartiere e capire che dove stavano veniva chiamato semplicemente Pasteur?

Qui sta il primo cenno della stupidità: l'ansia di sentirsi parte di qualcosa, l'ansia di condivisione e partecipazione, l'ansia di anonimato che non era ciò che aveva promesso Milano ha portato all'entusiastica accettazione del nuovo marchio, qualcosa di nuovo, qualcosa di meglio.

È il nome, non il luogo, ad aver funzionato da collante per i nuovi abitanti, i quali hanno identificato con esso i loro sogni: dei localini alla moda, un sacco di gente da conoscere, sentirsi un po' come in Isola; il tutto dimenticandosi delle loro necessità. Gli hanno creato ad hoc una nuova identità parallela a quella già esistente, una bugia a fin di bene.

Strategia numero 2: chi è il miglior venditore se non i suoi abitanti?.

L'entusiasmo del nuovo nome, della nuova “bandiera”, ha permesso ai suoi attori locali di definirne l'identità. È riconosciuto che il fenomeno della gentrificazione (gentrification per l'esattezza) è sovente preceduto dall'insediamento di comunità artistiche, le quali rendono il quartiere più vivace culturalmente e quindi più attrattivo, permettendo la caratteristica urbana della varietà, in cui le classi ricche si trovano a contatto con quelle più povere. Ma questo è solo il primo stadio, poiché la gentrificazione è una riqualificazione urbana, il cui risultato è un aumento vertiginoso dei prezzi ed una sorta di ricolonizzazione da parte delle classi più ricche; di conseguenza, uno spostamento delle classi povere verso altre periferie e la classe creativa non è una classe ricca, soprattutto a Milano, soprattutto in Italia (Un paradosso. Nel radiodramma della radio di quartiere, per raccontarlo, inizia la trama così: “Il protagonista di questa storia è Matteo: sfrattato da Isola perché gli affitti sono diventati troppo alti, decide di provare la carta NoLo...”).

Gli interventi comunali sono stati minimi ed economici, e lasciando che fossero i nuovi abitanti, grazie anche ai nuovi strumenti di comunicazione, a fare la loro pubblicità al quartiere: una riqualificazione presente più nei social network che nelle piazze.

Da Nolo sono nati gli esclusivi “nolers”, un élite attrattiva, a cui tutti possono accedere: basta andare a vivere a Nolo. È un'ottima pubblicità a costi zero.

Glamour, slogan, decoro e decorazione.

Così Nolo diventa uno slogan, un quartiere creativo della Milano creative city.

La mancanza di responsabilità concettuali da parte della classe creativa che lo identifica, ha portato l'intero quartiere, realtà complessa, a trasformarsi in una realtà pubblicistica e semplificata le cui esigenze sono: visibilità, locali alla moda, movida, sicurezza e il fantomatico decoro, espresso come semplice decorazione.

Basta entrare nel condominio di Via Oxilia 13 per avere un micro esempio: un androne addobbato in modo “carino”, in stile fai da te, che nasconde lo stato totalmente decadente del condominio, nel cui cortile è stato posto un tavolino in nome della condivisione sociale che sommerso da piante e piantine non viene quasi mai usato, anzi sono più frequenti gli arrivi della polizia che l'utilizzo di quel tavolo.

Nel quartiere viene tutto estetizzato, affinché ci sia una parvenza di glamour; addirittura il degrado viene ridicolizzato e rivenduto come parte dell'estetica: ad esempio, anche se ora la pagina facebook di NoLo riporta “Gentrifichiamo che neanche NoLita”, poco tempo fa la frase era ben più lunga con una vera e propria ridicolizzazione delle persone transessuali, della criminalità, del degrado e dello spaccio. Invece che essere uniti nel denunciare e nel cercare soluzioni contro il degrado lo si è ironicamente abbellito nel marketing pubblicitario (la stessa ironia che abbiamo usato per la frase “Nolo ovvero...”).

Ma parliamo di spaccio: dalle discussioni nate dopo il nostro manifesto emerge che la sicurezza viene identificata con la presenza di spacciatori, “grazie a noi sono spariti gli spacciatori sotto casa”ripetono i “nolers”, ne siete sicuri? La movida senza spaccio, non appare un po' strana? Non credete che possa essere cambiata la classe di appartenenza degli spacciatori?

E tutto il resto tangibile? Non vedete che proprio per le vie del “centro di Nolo” ci sia il centro principale del racket dei venditori di rose? Non vi chiedete come mai tutti questi fiorai e chi siano quelli che vendono i tulipani a 5 euro il mazzo? Ce n'è uno proprio di fianco alla radio di quartiere.

Questa è l'altra stupidità: pensare di avere risolto i problemi nascondendoli sotto l'estetica ed essere incapaci di affrontarli nella loro complessità.

A Milano è ormai l'immagine a regnare sovrana, e le parole come socialità, arte e partecipazione vengono svuotate di senso: ne è d'esempio la riconversione della Ex Panasonic in appartamenti di lusso (solo bilocali e monolocali) sotto il nome di Art Building in via Lucini, che sfrutta, in nome dell'arte, i graffiti dei muri del Leoncavallo, muri che la città di Milano non vuole.

Ciò che ci amareggia di più è il fatto che sia proprio la classe creativa, impoverita di concetti e linguaggi, ad essere sfruttata per questi progetti, senza che le venga riconosciuto alcun merito e senza che questa lo richieda. Ormai sotto pagata, precaria o ricompensata solo con la visibilità, priva di auto-determinazione, viene spinta ad una crudele competitività per sopravvivere. Una competitività dove per emergere bisogna mettere, male e alla mercé dei cani, delle “opere” sui cestini oppure lanciare messaggi insignificanti e banali, ma stilisticamente glamour, che contribuiscono alla propaganda gentrificante del quartiere.

La Milano di Expo non la volevamo e mai la vorremo. L'Arte sterilizzata all'immagine non la riconosciamo. È la Milano irreale, quella esposta nella vetrina di una città falsamente solidale che venerando una supersocialità, perlopiù digitale, esclude sempre di più chi la abita con bisogni diversi dalle forme delle mode e del design. Quelli che da sempre hanno contribuito, con relazioni spontanee e critiche, alla realtà di Milano.

Quando ci saranno le Olimpiadi invernali, chi abiterà ancora a NoLo?

“Il problema delle città creative è che sono legate a un preciso momento storico fortunato per yuppie e hipster, ma gli stessi che hanno creato enormi ricchezze come Zuckemberg o gli inventori di Google sono passati ad altro, a diventare corporation e non “tessuto creativo”. […] Quello che doveva essere un crogiolo di fantasia produttiva è finito per diventare un monopolio che ha distrutto il mondo poco garantito dei “creativi”. Ha distrutto il mondo che viveva sulla musica, sta distruggendo l'editoria e si appresta a distruggere altri settori come la ricerca, con il monopolio della divulgazione spacciata per innovazione scientifica stile Ted. […] L'effetto è il contrario della promessa: invece di avere una classe creativa sopravvivono solo i bestseller e le superstar. Per tutti gli altri c'è la fame.” [Contro l'urbanistica, La Cecla, Ed. Enaudi, 2015]