07-08-2019
Intolleranza alla milanese
di
Non c'è daspo che funziona o daspo che funzioni meno. C'è il daspo.

L'allineamento del nostro Comune all'ultimo decreto del governo giallo-verde è certamente lontano dalla voce grossa salviniana, ma se il colore della pelle a Milano non è fonte di discriminazione (strizzando l'occhio ad un antirazzismo di facciata da "buon selvaggio") lo diventa ogni persona che non rispetti determinati parametri di "aiutabilità", ogni atteggiamento che non rientri nel modello di città decorosa che dal 2015 si sta imponendo ed impostando in maniera sempre più radicale.
La "vittoria" in Consiglio Comunale del 26 Luglio che definisce ben 11 aree urbane in cui diventa operativo l'ordine di allontanamento, accentua in maniera grave tutta una serie di pratiche portate avanti da anni per decolorare Milano da ogni azione e soggetto ritenuto pericoloso o dannoso all'estetica urbana e sociale. Figlia legittima degli ultimi decreti sicurezza (Minniti, Salvini) questa ordinanza attacca a maglia sempre più stretta ciò di cui, fondamentalmente, i milanesi si lamentano: le grigliate nei parchi, il disagio delle panchine in periferia (storia vecchissima), i venditori abusivi negli scambi della metropolitana che impediscono il passaggio dei bravi utenti muniti di biglietto valido, la guerra ai graffiti e l'eterna lotta contro zingari e Rom. Sono problemi (se non si vuole chiamarle persone) collocabili in fondo ad un calendario di priorità (deciso solo dalle eterne campagne elettorali) e alcuni di questi sono ultimi anelli di una filiera di illegalità ben più grave e più radicata in ogni cerchia sociale: il problema dei venditori abusivi è il racket che lo gestisce e non di chi gira la città con le rose o passa le sue giornate sotto terra negli scambi di Cadorna o Loreto a vendere occhiali e borse contraffatte.
E poi ci sono i Rom. La difficilissima inclusione delle comunità nomadi agli schemi sociali a noi comodi, torna ad essere usata come lamentatio e scusa per lo spostamento dei voti dell'opposizione. Proprio pochi giorni prima della ricorrenza di uno dei più terribili eccidi da parte del nazi-fascismo, ancora una volta la città faro dell'inclusione e dell'apertura usa le comunità zingare e rom come contraltare negativo e degradante.
Non c'è daspo che funziona o daspo che funzioni meno. C'è il daspo. E sempre di più questa forma di repressione e limitazione diventa strumento politico per una battaglia contro la realtà cittadina e soprattutto la ricerca di autodeterminazione.