23-04-2021
25 APRILE 2021
di
Contro la guerra! Contro le fabbriche di armi! Contro il fascismo!

PACE. QUALE?
Produrre e commerciare armamenti, mezzi e materiale bellico significa partecipare attivamente ad una guerra. Vuol dire condividerla, combatterla e far sì che il terrore e la violenza proliferino. Dal 1949 i militari italiani sono impiegati in tutto il mondo, attraverso la NATO, in missioni per risolvere pacificamente le controversie* in paesi in conflitto o reduci da guerre; soldati agli ordini del patto Atlantico nordista e di ministri e generali nostrani impegnati tanto in operazioni di gestione delle crisi* quanto e soprattutto ad ungere l'ingranaggio miliardario che le guerre del mondo rappresentano per il PIL italiano. L'Italia che non ripudia la guerra è quella dei grandi produttori di armamenti e strumenti "di difesa", alleati commerciali non direttamente schierati ma coinvolti in ogni guerra che porti il nostro brand. Dopo il boom di vendite degli anni '80 caratterizzato da criteri commerciali, con nessuna considerazione per il livello di protezione dei diritti umani garantito dai paesi importatori, il loro eventuale stato di conflitto, o per il loro eventuale effetto sulla stabilità regionale e sullo sviluppo**, gli anni '90 hanno sancito in questo frangente un cambio di rotta (dovuto anche dalla massiccia attività anti-militare del decennio precedente): con la legge 185/90 si mettono nuovi paletti al libero mercato delle armi, introducendo lo Stato come partecipante alle trattative commerciali, garante dell'applicazione ed interpretazione dell'articolo 11 della Costituzione. Un terzo giocatore più che un arbitro, complice tanto quanto la fanteria degli orrori che la guerra e la violenza militare generano e causano. Oggi leggiamo sui giornali che i nostri legami politico-militari, con nazioni anche al di fuori della NATO ed implicate in azioni militari criminose e repressive, l'Egitto primo su tutti, sono in realtà "contratti" miliardari per la vendita di armi e sistemi bellici. La legge del 1991 ha di fatto direzionato il traffico di armamenti su binari sicuri per un mercato che non può tramontare finché i venti di guerra continuano ad imperversare. Riportare ancora una volta gli 871.700.000 di euro incassati nel 2019 dalle varie Leonardo spa, Elettronica spa, Calzoni srl, Orizzonte Sistemi Navali, Iveco Defence Vehicles con la vendita delle licenze made in Italy all'Egitto di Al Sisi, serve a sbatterci in faccia la verità del nostro paese e del nostro senso della Pace, in un momento tra l'altro di grave crisi sociale. E l'Egitto non è che il pesce più ghiotto: il solo Turkmenistan ha investito in prodotti bellici di fabbricazione italiana 446.000.000€ e altri paesi, NATO e NON NATO, euro per un totale di quasi 3.000.000.000 di merci consegnate (le licenze complessive autorizzate ammontano a 5.174,000.000).
La situazione geopolitica odierna spinge il mondo al riarmo: difesa (da chi?!), controllo di territori e commerci, ordine pubblico sono diventati sinonimi stretti di guerra e questo stato di "guerra continua" ha bisogno di armi e di qualcuno che le produca e venda. I rapporti politici attuali dell'Italia con i paesi-clienti, includono l'omicidio e l'incarcerazione, l'insabbiamento ed il depistaggio in nome di un buon affare.
25 APRILE, DOVE SEI FINITO?
La giusta conseguenza dell'imbracciare le armi contro ogni forma di fascismo deve essere quella di abbandonarle una volta terminato il loro scopo: gli insegnamenti e le/i morti della Resistenza hanno guidato le scelte costituenti per essere contro la guerra e tutto ciò che la riguarda. La posizione alleata ma non schierata (appunto) dell'Italia nei decenni che seguirono alla caduta del nazi-fascismo e fino ai giorni nostri, e la pesante capitalizzazione del nostro paese, ha spostato il radicato interventismo italico dalla prima linea ai mercati, sacrificando l'ideale di pace di tuttǝ quantǝ in nome del solito guadagno di pochi. Il sistema della guerra è uno dei grandi specchi della contraddizione liberista: un mercato globale e globalizzato (perché la guerra non servirà a tutti ma deve essere dappertutto), un sistema connesso direttamente con l'alta politica, che si fa beffe dell'identità nazionale e di ciò che pensa e crede la popolazione; è un'industria altamente inquinante finalizzata alla produzione del peggiore superfluo dell'umanità. La nostra proliferazione bellica è ancor più inaccettabile se pesata nel momento attuale: la guerra è responsabile dello sconvolgimento climatico (e i moventi non sono solo i conflitti in atto: nel mondo le esercitazioni ed i test sono all'ordine del giorno ovunque e si sparano/sprecano decine di migliaia di euro/dollari alla volta, a che scopo?); è un'industria pesante che come tale inquina, bisognosa di materie prime estrattive, di metalli rari per i sistemi elettronici, d'energia in quantità; anche il trasporto di queste merci è assai dispendioso in termini di costi ed impatto ambientale. E' una filiera enorme finalizzata alla sofferenza di cui noi siamo tra i pochi diretti responsabili; il mantra bellico, mai sconfitto, ha portato l'Italia tra i big dell'industria bellica ma soprattutto tra gli sfigati parcheggiatori di armi sul nostro suolo per una militarizzazione complessiva del nostro paese tra le più alte del mondo. Alle contraddizioni estreme del militarismo si ri-aggiunge proprio in questo periodo il tema del nucleare, un'altra operazione finanziaria assurda in cui c'eravamo imbarcati, pagando ancora oggi il prezzo di quegli errori in fatto di scorie e rifiuti eterni ed intrattabili. L'industria nucleare va a braccetto con quella bellica dalla II guerra mondiale e non sono serviti anni di trattati di non proliferazione a frenarne l'ombra di morte.
PARTIGIAN* PACIFIST* E ANTICAPITALIST*
Il capitalismo contemporaneo è il frutto di secoli di politiche colonialiste ed imperialiste, dello schiavismo e del liberismo (entrambe forme di mercato, più che condizioni sociali) di pochi ricchi a scapito del mondo e della società globale. La guerra di liberazione non ha posto fine al fascismo e non ci ha liberato dalla sua violenza: è stata piegata e strumentalizzata dai nostri "alleati" (o meglio partners) per trasformarsi in business, senza cessare mai. Non è stata più una guerra per la pace ma un'ennesima guerra per i soldi. Combattere il fascismo significa combatterne i semi malati ovunque germoglino, l'industria bellica non ne è più un seme ma una grande struttura articolata e potente che col suo esistere e produrre vanifica gli ideali della nostra e di tutte le Resistenze Antifasciste di ieri e di oggi.
Oggi dobbiamo rivolgere il nostro sguardo ed il nostro pugno non solo contro i paesi guerrafondai con cui facciamo affari ma direttamente alla matrice spregiudicatamente industriale che guida l'Italia a produrre e commerciare armi.
Questo 25 Aprile ancora senza piazze e senza manifestazioni deve convogliare la sua gioia e la sua rabbia per reclamare una volta per tutte la pace.
Contro la guerra! Contro le fabbriche di armi! Contro il fascismo!
Di iniziative ce ne sono tante, ci vediamo per le strade!
*citazione dal sito della NATO
**www.disarmo.org